La situazione di emergenza educativa e didattica in cui si trova la scuola italiana, in particolare quella di base, è da tempo oggetto di cronaca quotidiana, di classifiche e graduatorie nazionali e internazionali che la collocano agli ultimi posti.
I fattori di questa crisi sono molteplici, ma mi limiterò a rilevarne alcuni che, a mio avviso, sono di fondamentale importanza. Mi riferisco, innanzitutto, alla carente o inesistente preparazione psico-pedagogica, indispensabile per i docenti di tutte le aree disciplinari per sapere gestire le dinamiche relazionali, prioritarie ai fini di un approccio educativo e didattico positivo.
Nella realtà attuale, inoltre, ricca di stimoli e di sollecitazioni, e in un scuola formalmente democratica e aperta a tutti (e perciò con esigenze educative e didattiche diversificate e articolate), i metodi e i mezzi tradizionali sono inadeguati per motivare e incuriosire gli alunni e per graduare e personalizzare il lavoro scolastico. In particolare, i testi in uso nelle scuola media sono spesso troppo complessi e difficili, talvolta persino per i più dotati. Chi, perciò, è svantaggiato e non ha la possibilità di un aiuto a casa quei libri non li aprirà neppure, ammesso che li abbia. E così, lo strumento fondamentale utilizzato a scuola diventa elemento di selezione e di emarginazione, motivo di sfiducia, perdita di autostima e frustrazione (con le inevitabili conseguenze sul piano comportamentale) e, persino, di abbandono.
Una malintesa lotta al nozionismo, poi, che ha privilegiato la logica e il ragionamento, sottovalutando i contenuti, anche quelli di base, ha minato le fondamenta del sapere, perchè ha spesso portato alla eliminazione dell’acqua sporca col bambino.
E, infine,un disorientamento diffuso, e talvolta interessi estranei a quelli educativi e didattici, hanno spinto il personale scolastico a proporre agli alunni di tutto e di più, tranne l’essenziale.
Ma a questi motivi, che definirei interni, si sommano la crisi dei valori, il crescente degrado della cultura, dei costumi e delle istituzioni sociali e politiche e i tagli alle risorse e al personale scolastico. Diventa perciò sempre più difficile svolgere una efficace attività di istruzione e formazione e, di fatto, vengono limitate o annullate le opportunità concrete di crescita e di sviluppo di ciascuno, penalizzando, soprattutto, i più deboli e i più sfortunati.
A causa della riduzione degli organici, infatti, gli insegnanti di Sostegno e quelli in compresenza (specie, tra l’altro, in estinzione) spesso sono costretti a fare supplenze, o meglio, a fare i tappabuchi, senza alcun vantaggio per le classi in cui vengono impegnati. Innanzitutto perché, in genere, non hanno le conoscenze e le competenze specifiche dei colleghi che sostituiscono; in secondo luogo perché non conoscono bene gli alunni con i quali non hanno, perciò, quel rapporto consolidato che, quando si riesce, si costruisce nel tempo e con grandi fatiche; in terzo luogo perché gli alunni, già demotivati e disinteressati, approfittano di queste situazioni per non fare niente…nella migliore delle ipotesi!
Nelle classi, invece, in cui dovrebbero prestare servizio, viene a mancare un supporto qualificato, spesso fondamentale per la gestione delle situazioni difficili e problematiche e, inoltre, proprio i più bisognosi , gli alunni diversamente abili, con disturbi e difficoltà di apprendimento, svantaggiati, disadattati e bulli, vengono privati delle attenzioni, dell’aiuto, del sostegno e degli interventi necessari e a cui avrebbero diritto; diritto che, sempre più spesso, rimane solo sulla carta.
A tutto questo va aggiunto il disagio generale che si viene a creare, quando i docenti assenti non possono essere sostituiti in alcun modo e perciò le classi vengono divise.
La scuola pubblica, particolarmente nelle realtà povere e svantaggiate, è in ginocchio.
(E, quando parlo di povertà, di miseria e di degrado, non mi riferisco unicamente a situazioni economiche e materiali ma anche culturali e morali).
Persino i docenti più motivati, preparati ed esperti e con tanta voglia di fare e di dare, si trovano in grave difficoltà e, per di più, si chiede loro di assumere compiti che andrebbero condivisi con tutte le altre istituzioni, generalmente, del tutto assenti.
Per usare una metafora di Don Milani, incredibilmente attuale, la scuola è spesso “è un ospedale” che non riesce più a curare né i sani né i malati e, ancora peggio, fa ammalare chi dovrebbe curarli; in questo caso, non in senso metaforico ma reale.