La selezione nella scuola della “promozione”

     Oggi, anche se la lingua continua ad essere discriminante, la scuola non è più, come dicevano i ragazzi di Barbiana, “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”; nessuno viene bocciato perché parla in dialetto. Piuttosto la scuola è, a volte, un ospedale che non riesce a curare né i sani né i malati, perché quei malati di cui si parla nel libro Lettera a una professoressa intanto si sono aggravati, perché non solo non conoscono la lingua italiana ma non hanno voglia di impararla e non hanno voglia neppure di andare a scuola, una scuola che, assieme ad altre istituzioni, non è riuscita ancora a trovare risposte adeguate alle loro domande.

     La discriminazione e la selezione continuano dunque, in maniera più sottile, e continuano a toccare sempre le stesse fasce sociali, sempre gli ultimi, condannati a restare ultimi.

     Non che i figli dei ricchi e dei benestanti non abbiano problemi! Quelli, però, certamente non li troveremo mai tra i “dispersi”, tra coloro, cioè, che evadono l’obbligo scolastico; a volte per necessità, ma molto più spesso perché non riescono a tollerare le continue frustrazioni conseguenti alle esperienze di insuccesso. Quando invece rimangono, con un “linguaggio” che spesso si connota di aggressività e violenza, con un comportamento che impedisce “il normale svolgimento delle lezioni” (che impedisce, cioè, di curare i sani), chiedono con insistenza attenzione; chiedono che ci si occupi e che ci si preoccupi innanzitutto di loro.