Il PROGETTO G.I.O.CO. nato, come è stato detto, dalle provocazioni e dagli stimoli colti dall’esperienza di Barbiana, dalle emergenze educative e didattiche, dai problemi e dalle difficoltà quotidiane personalmente incontrate e da un intenso lavoro di ricerca e di sperimentazione, è rivolto a tutti gli alunni della scuola dell’obbligo, soprattutto a quelli della scuola primaria e della secondaria di primo grado, ma è mia intenzione svilupparlo, in particolare, nel biennio degli Istituti Professionali dove, in generale, si “iscrivono” tutti gli alunni demotivati, con problemi e difficoltà e dove gli insegnanti difficilmente vanno ad insegnare per scelta.
Diversamente che per la scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e in quella secondaria l’offerta di materiali che , in maniera semplice, consentano di animare e rendere operativa la didattica quotidiana per tutte le aree disciplinari è limitata; nella scuola secondaria, inoltre, esistono molti pregiudizi in merito, pregiudizi che prima di questa esperienza nutrivo anche io. E’ comune convinzione, infatti, che il gioco e l’animazione vadano bene per i piccoli, per gli alunni diversamente abili e per i soggetti svantaggiati.
Il PROGETTO G.I.O.CO., acronimo di Gioco, Imparo, Opero e COopero, invece, fa leva proprio sulla ludicità, oltre che sull’operatività, la cooperazione e la progettualità; e cioè fa leva su bisogni intimi e profondi dell’uomo, e che perciò sono di fondamentale importanza anche per la sua piena espressione e realizzazione.
Questa convinzione, però, l’ho maturata lungo un percorso non facile e né scontato per chi, come me, viene da una formazione di tipo tradizionale, cioè programmocentrica e trasmissiva. E infatti, quando gli alunni, e non solo quelli demotivati e difficili, mi chiedevano con insistenza
“Professoressa, ci fa giocare?”
la mia reazione, all’inizio scandalizzata, era puntualmente:
“Giocare alla scuola media?
Lo studio è una cosa seria!”
Ma intanto, cominciavo a guardarmi intorno e a pensare a strategie, metodi e mezzi ludiformi, che mi consentissero di perseguire gli obiettivi educativi e didattici relativi a questa fascia di età; cominciavo cioè a prendere sul serio questa richiesta esplicita e ricorrente e a tenere conto di questo bisogno di ludicità, memore anche dell’invito che Don Bosco rivolgeva agli educatori:
“Amino ciò che piace ai giovani
e i giovani ameranno ciò che piace ai superiori”
Nei momenti di difficoltà, perciò, ho iniziato a proporre spontaneamente giochi didattici, ottenendo il massimo coinvolgimento e il massimo impegno da parte degli alunni che, alla fine, spesso commentavano: “Abbiamo studiato e non ce ne siamo accorti”
Ho scoperto così che tutte le attività scolastiche si possono animare, in modo più o meno semplice, e ho compreso che la ludicità è fondamentale ed importante a tutte le età; piuttosto cambiano i contenuti, le forme e le modalità di giocare e di rapportarsi al gioco in relazione ai contesti, alle situazioni ed ai vari momenti della vita.
E allora, come dice Gianni Rodari:
“Vale la pena che un bambino impari piangendo
quello che può imparare ridendo?”