Il Progetto G.I.O.CO è un progetto trasversale; riguarda tutte le discipline, ma particolare attenzione è riservata alla lingua italiana e alle lingue in generale perché, come afferma Don Milani:“…la miseria più grave dei miseri e che riassume tutte le altre loro miserie …è la mancanza di istruzione…” (intendendo per istruzione “tutto ciò che è elevazione interiore”) perché “su chi sa meno gioca bene il propagandista politico, il commerciante, l’imprenditore, la Confindustria, il distruttore di religione, il corruttore, lo stregone…”. Ma la miseria ancora più grave è la mancanza di “dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradimenti le infinite ricchezze che la mente racchiude.” La conoscenza della propria lingua “non fa parte delle necessità professionali, ma delle necessità di vita di ogni uomo, dal primo all’ultimo che si vuol dire uomo” perché, egli diceva, “chiamo uomo chi è padrone della sua lingua.”
Confessava, pertanto, questo suo impegno prioritario nella direzione dell’educazione linguistica che riteneva fortemente giustificato: “…ho lasciato ormai quasi tutte le altre materie. Non faccio più che lingua e lingue. Mi richiamo dieci venti volte per sera alle etimologie. Mi fermo sulle parole, gliele seziono, gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi, un deformarsi…La parola è la chiave fatata che apre ogni porta…Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata.” .
Trovo che la preoccupazione di Don Milani riguardo alla padronanza delle lingue in generale, e di quella nazionale in particolare, sia ancora di estrema attualità: la conoscenza della lingua italiana era e continua ad essere elemento di discriminazione e di emarginazione.
Per gli alunni che provengono da ambienti poveri e deprivati, alla miseria materiale si accompagna quasi sempre l’ignoranza, la scarsa conoscenza della lingua italiana, la ristrettezza e la povertà del vocabolario personale. La scuola dell’obbligo formativo deve porsi come compito proprio quello di colmare il divario che esiste tra “Gianni” e “Pierino”, tra i figli della povera gente, dei diseredati, degli emarginati e i figli dei professionisti, dei benestanti, dei fortunati, che la lingua italiana la imparano nel grembo della madre e quelle straniere spesso con la baby sitter di madre lingua o negli istituti specializzati e nei colléges, assistiti e confortati dall’amore e dai soldi di papà.
Il problema della conoscenza della lingua nazionale anche a scuola è centrale perché la lingua è trasversale, riguarda tutte le discipline. Se gli alunni non hanno, infatti, un patrimonio lessicale adeguato, non capiscono quello che ascoltano e quello che leggono, non riescono a seguire le spiegazioni, si distraggono, disturbano. Se hanno i libri (perché i più diseredati, che sono sempre più numerosi, non possono neppure comprarli) a casa poi non riescono a studiare perché i testi per loro sono sempre troppo difficili, e spesso non c’è nessuno che possa aiutarli, o che abbia tempo e voglia di aiutarli. L’insuccesso scolastico in queste condizioni è la norma , le esperienze di frustrazione altrettanto, così come la demotivazione, il rifiuto delle attività didattiche, l’adozione di comportamenti disadattivi, l’evasione dell’obbligo scolastico, la dispersione, la devianza.
Motivare gli alunni, prevenire il disagio, evitare la dispersione e la devianza, devono perciò diventare impegni prioritari nella società della conoscenza; personalizzazione, integrazione e cooperazione, scommessa quotidiana per una scuola che voglia offrire a tutti opportunità di crescita e di sviluppo culturale, umano e sociale.