Dopo avere fatto l’esperienza nelle classi difficili da insegnante curriculare, passare dalla cattedra di Lettere a quella di Sostegno è stato per me un gran sollievo.
Non essere obbligata ad interagire contemporaneamente con venti, quindici, ma anche dieci alunni difficili, demotivati, litigiosi, aggressivi, violenti, irriguardosi… mi ha fatto sentire una privilegiata.
E mi trovavo sicuramente in una situazione di vantaggio e di privilegio rispetto ai colleghi curriculari innanzitutto perché, dal punto di vista relazionale, avevo maggiori possibilità di avvicinare singolarmente gli alunni, di stabilire un rapporto personale e diretto con ciascuno di loro, di farli parlare dei loro problemi, di conoscerli meglio, di mediare e di negoziare nelle situazioni conflittuali.
Anche per quanto riguarda l’aspetto strettamente didattico mi sentivo in una situazione di privilegio: un conto è, infatti, motivare un alunno, un altro è doverne motivare tanti; un conto è personalizzare l’insegnamento per uno o due alunni, altro è individualizzare le attività per una classe composta da alunni con difficoltà e con problemi diversi, compresi i portatori di handicap più o meno gravi.
Nel Sostegno, mi sono potuta dedicare con maggiore serenità alla osservazione degli alunni, alla conoscenza della loro situazione, alla rilevazione delle loro difficoltà, alla individuazione delle loro potenzialità e dei loro interessi, allo studio e all’approfondimento dei problemi, alla ricerca, alla ideazione e alla sperimentazione di strategie, metodi e mezzi per rendere interessanti, piacevoli ed efficaci le attività scolastiche e per favorire e facilitare l’integrazione.
Sottolineo “con maggiore serenità” perché, per quanto riguarda il lavoro, l’avventura nel Sostegno mi ha totalmente coinvolta poiché ho sentito questo mio impegno come un dovere non solo professionale, ma anche e soprattutto umano, sociale e morale nei confronti dei più sfortunati: portatori di handicap, emarginati, svantaggiati…. Sono tutti coloro che, come diceva Don Milani, ancora “aspettano di essere fatti uguali”, nelle zone periferiche e negli ambienti più poveri e degradati delle nostre città. A lavorare con loro sono rimasta per scelta. Da insegnante di sostegno avevo, infatti, maggiori possibilità di aiutare tutti gli alunni con problemi.
Nel ruolo di docente di Sostegno, infine, la necessità e il bisogno di confrontarmi con tutti i colleghi era inevitabile, dovendomi occupare, almeno sotto l’aspetto didattico, di tutte le aree disciplinari. Al di là degli aspetti puramente educativi ed organizzativi, si poneva infatti la reciproca esigenza di integrare conoscenze e competenze, e quindi di un contatto e di uno scambio costante nell’interesse di tutti.
Così, di fatto, si creavano le condizioni di una sempre più stretta collaborazione attraverso la quale, mettendo insieme le risorse di ciascuno, riuscivamo a gestire meglio gli alunni anche in situazioni problematiche, a individualizzare l’insegnamento, a tentare di favorire realmente il massimo sviluppo di ciascuno e di tutti.
Dalla necessità della collaborazione, al conforto della condivisione, al piacere della cooperazione, il passo, in genere, è stato breve: condividere ansie, paure, difficoltà, ma anche conoscenze, competenze, esperienze, fantasia, creatività, progetti e scommesse è la strada che abbiamo imboccato, e che tentiamo di percorrere in maniera sempre più consapevole e programmata, confortati, sostenuti e incoraggiati da esperti e da dirigenti attenti ai bisogni degli alunni e aperti alle soluzioni più rispondenti alle loro necessità.
Devo comunque confessare che mi ritengo una persona molto fortunata perché trovo il mio lavoro interessante, stimolante e utile e perché un’avventura, cominciata con tanta paura e con grande senso di responsabilità, nonostante le difficoltà, gli insuccessi, le delusioni e un impegno a tempo pieno, mi ha riservato profonde gratificazioni e mi ha fatto riscoprire il gusto di giocare, di fare, di creare e di inventare dei tempi della mia infanzia, per cui oggi non sarei in grado di trovare il confine tra il dovere e il piacere.